Gian Antonio Stella/ Cavalli di razza
Ex leghista (ora venetista) bocciato in storia
La battaglia navale di Lissa? Per i Veneti
una vittoria da ricordare, ha scritto Ettore Beggiato. Peccato che ci sia una forzatura
Emerge
dalle sacre acque di Lissa / un capo e dalla bocca esangue scaglia /
"Ricordati! Ricordati!" e s'abissa». Certo, il Gabriele D'Annunzio della
Canzone d'Oltremare è così retorico da spingere al sorriso. A nessuno
verrebbe in mente, oggi, di scrivere così. Non meno retorica, però, sia
pure diversa, c'è nel comunicato diffuso giorni fa da Ettore Beggiato,
leghista della prima ora poi fondatore della Unione del Popolo Veneto,
autore di vari libri venetisti: 1866: la grande truffa, II Senno di poi.
L'unità d’Italia vista 150 anni dopo, La lotta dei Veneti contro lo
stato italiano e soprattutto Lissa, l'ultima vittoria della Serenissima.
E
proprio alla battaglia navale di Lissa, dove la flotta italiana guidata
da Carlo Pellion di Persano poi processato fu disastrosamente sconfitta
dalla marina austriaca, è dedicato il dispaccio dell'esponente
venetista. Titolo: «20 luglio, anniversario della battaglia navale di
Lissa, per i Veneti una vittoria da ricordare!».
VIVA
SAN MARCO. Il testo: «A Lissa il 20 luglio 1866 gli eredi della
Serenissima (veneti, giuliani, istriani e dalmati) ossatura della marina
asburgica sconfissero clamorosamente la marina tricolore (che brillava
per la rivalità tra le tre componenti, sarda, siciliana e napoletana)
che tanto baldanzosamente aveva affrontato la battaglia, forte della
propria superiorità di uomini e di mezzi, e quel "uomini di ferro su
navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro"
fotografa mirabilmente lo scontro navale. Nell'elenco delle medaglie
d'oro e d'argento troviamo cognomi tipicamente veneti, a partire da
Vincenzo Vianello detto Gratton e Tommaso Penzo detto Ociai...».
Continua
il comunicato: «"Deghe drento, Nino, che la ciapemo", così si rivolse
l'ammiraglio Tegetthoff secondo alcuni a Vincenzo Vianello da
Pellestrina secondo altri a Tommaso Penzo da Chioggia, e all'annuncio
della vittoria gli equipaggi risposero lanciando i berretti in aria e
gridando "Viva San Marco!!"» Che il comandante della flotta austriaca,
l'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, parlasse veneziano è possibile: a
13 anni era entrato nel collegio dei cadetti della marina austroungarica
che aveva sede nel sestiere di Castello. Che molti veneti fossero
arruolati in marina è certo. Anche perché Vienna, che rastrellava i
giovani di leva tenendoli in divisa otto anni, aveva la mano pesante coi
renitenti. Che questo dimostri la devozione veneta alla «patria»
austriaca contro l'Italia, è una forzatura assurda.
Poco
più di una quindicina d'anni prima, la meravigliosa Venezia culla di
bellezza era stata bombardata a tappeto dall'esercito viennese: almeno
duemila cannonate soltanto il 29 luglio 1849. Una violenza insensata
(che si sarebbe ripetuta nella I Guerra mondiale: 41 bombardamenti)
contro i veneziani che si erano ribellati sotto la guida di Daniele
Manin, che qualche citrullo venetista oggi arruola tra i patrioti
proto-leghisti nonostante in piazza San Marco sventolasse il tricolore e
nonostante lo stesso Manin
avesse
affisso nel 1848 un manifesto che tuonava: «Valorosi! Nel nome
dell'Italia per la quale avete combattuto e volete combattere, vi
scongiuro di non scemare la lena nella difesa di questo santo asilo
della nostra nazionalità».
Versione
sbracata. Del resto, sorride ironico Mario Isnenghi, uno dei massimi
studiosi del Risorgimento, «chi afferma la tesi dell'amore per l'Austria
da parte dei marinai veneti a Lissa dovrebbe spiegare come mai pochi
anni prima Vienna si era guardata bene dall'usare quella marina contro
Venezia. Le fanterie si spaccarono a seconda della nazionalità ma i
marinai veneziani stavano con Venezia». Opinioni diverse? Per niente. Lo
storico l'ha scritto anche nel libro La storia negata curato da Angelo
Del Boca: «La coscienza che tutto passi attraverso un punto di vista e
un'interpretazione e finisca in uso pubblico e strumentalizzazione
politica, invece che più lucidi, ci rende solo più fatui. E una versione
sbracata e facilona di "relativismo" o storia "fai da te" finiscono per
imperare. Nulla è vero, tutto è vero. Nossignori, gli avvenimenti
storici si sono svolti in una certa maniera e non in un'altra; sta a noi
volerlo e saperlo accertare e documentare».
SETTE 27/07/2012
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